Il Buran

Per Buran si intende un vento molto freddo e a volte tempestoso che soffia nella stagione invernale sulle sterminate distese della Siberia, del Kazakistan, della Mongolia e in generale di tutta la zona dell’Asia Centrale lontana dal mare. Questo vento può far crollare la temperatura di decine di gradi centigradi in poco tempo. La sua comparsa è legata all’espansione dell’Anticiclone Russo-Siberiano, figura barica che si struttura nella stagione invernale in questa zona.

Come si forma l’Anticiclone Russo-Siberiano?

L’Anticiclone Russo-Siberiano è una figura barica molto particolare che nasce dalle condizioni geografiche uniche dell’Asia Settentrionale. L’Asia possiede infatti la massa di terra continua più vasta del mondo e alcune delle sue zone interne sono in assoluto i territori più lontani del mare. Questo si traduce in un effetto mitigatore praticamente pari a zero, che genera un clima di tipo continentale esasperato. In queste zone estati calde o caldissime si alternano a inverni che sono i più gelidi al di fuori dell’Antartide. Nella stagione invernale la lontananza del mare crea un fortissimo raffreddamento del suolo, che va a creare una copertura di aria gelida nei bassi strati dell’atmosfera. Quest’aria gelida è responsabile della creazione dell’Anticiclone Russo-Siberiano. I valori di pressioni registrati in queste situazioni sono da primato, in assoluto i più elevati del mondo. All’Anticiclone Siberiano è legato il record mondiale di pressione, registrato nel gennaio 2001 nella Siberia Occidentale.

Anticiclone russo: potrà mai dire la sua in questa stagione? - Meteolive.it
Immagine del Vortice Polare relativa al gennaio 2014. Si notano i due lobi gelidi, quello canadese ad ovest e quello siberiano ad est.

Record di freddo

Particolarmente gelida risulta la Siberia e in particolare la sua porzione orientale. Qui, nella Repubblica della Sacha-Jacuzia, territorio federale semi-indipendente della Federazione Russa, si trova il cosiddetto “polo del freddo dell’emisfero settentrionale”, ovvero la zona in cui si sono registrate le temperature più rigide dell’emisfero Nord (le temperature più rigide della terra si hanno in Antartide, nell’emisfero sud). Il polo del freddo si estende in particolare nella zona dei Monti di Verhojansk, catena montuosa di modesta altezza situata a nord-est di Yakutsk.

Terra Incognito: the Verkhoyansk mountains | VolcanoCafe
I Monti di Verhojansk, regione remota e pressochè disabitata nella veste invernale. Le valli e i bacini compresi tra queste montagne vedono le temperature più rigide del pianeta al di fuori dell’Antartide.

Il luogo più freddo in assoluto di cui si abbia conoscenza è il villaggio di Oymyakon. Il record di freddo di questo luogo è di ben 67 gradi sotto lo zero. Il centro abitato è situato a circa 750 metri di altezza, circondato da monti alti oltre 1000 m. D’inverno, questa zona è suscettibile a forti inversioni termiche. La città di una certa grandezza più fredda è invece Verhojansk, situata più a nord (67 gradi, oltre il Circolo Polare Artico) ma in condizioni pianeggianti, lungo la valle del fiume Indigirka. Il record di temperatura minima è di pochi decimi inferiore rispetto a Oymyakon, mentre la temperatura massima ha raggiunto qui i 38 gradi. Nessun’altra località così a nord ha mai registrato temperature tanto alte e Verhojansk è in assoluto la località con la massima escursione tra la temperatura massima assoluta e la temperatura minima assoluta (105 gradi centigradi di differenza).

Ojmjakon - Wikipedia
La vallate in cui sorge Oymyakon, il luogo abitato più freddo del pianeta

Zone interessate

L’Anticiclone Russo-Siberiano porta in inverno condizioni di tempo soleggiato e gelido in gran parte della Siberia e dell’Asia Centrale. Le zone privilegiate dall’espansione dell’Anticiclone tendono ad essere orientali piuttosto che occidentali. Spesso in inverno la Cina Nord-Orientale ne è interessata, mentre più raramente il Burian si spinge verso ovest oltre la catena dei Monti Urali. La Russia Europea ne è più raramente interessata e quindi presenta inverni molto meno rigidi rispetto all’Estremo Oriente Russo. A titolo di paragone la città di Vladivostok, situata sul bordo dell’Oceano Pacifico, ad appena 43 gradi di latitudine Nord (livello di Firenze) ha delle temperature minime medie di dicembre-gennaio di ben -18 gradi (in assoluto forse la città costiera più fredda alla media latitudine), mentre Mosca, situata molto più a Nord e lontana dal mare, minime medie di circa -9/-10.

Traveling to Vladivostok During the Winter - ORPHANED NATION
Il mare davanti a Vladivostok ghiaccia frequentemente in inverno. Ci troviamo qui alla stessa latitudine di Firenze. Per fare un paragone, il Mar di Norvegia non ghiaccia fino all’altezza di Capo Nord ( 70 gradi Nord).

Il Buran in Europa

Benché l’arrivo del Burian (e quindi di masse d’aria gelide dalla Siberia) sia cosa piuttosto rara in Europa, in alcune situazioni si può presentare. Ciò avviene generalmente quando l’Anticiclone delle Azzorre si spinge a nord fino alla Penisola Scandinava, lasciando libero l’arrivo di venti da est dalla Russia (situazione nota come Ponte di Weikoff). Generalmente le temperature più rigide (fino a -30 gradi) si registrano in Russia Europea, Ucraina e Bielorussia. Episodi storici di burian in Europa sono quelli del gennaio 1985, febbraio 2012 e, più recentemente, fine febbraio 2018. Il freddo portato dal Buran è definito come “pellicolare”, in quanto interessa maggiormente i bassi strati, anche se le temperature portate sono rigidissime anche ad alta quota. In caso di Buran le temperature tendono ad essere eccezionalmente basse soprattutto a bassa quota.

Burian, la situazione del 27 febbraio a Napoli e in Campania
Neve a Napoli il 27 febbraio 2018.

#greenlifeblog #buran #siberia #russia #asiacentrale #sachajacuzia #oymyakon #verhojansk #anticiclonesiberiano

La tempesta di ghiaccio del Gennaio 1998

La tempesta di ghiaccio del gennaio 1998 può essere definita come una delle peggiori tempeste di ghiaccio della storia mondiale. Si sviluppò tra il 4 e il 10 di gennaio, provocando seri danni lungo l’asse del fiume San Lorenzo, tra Canada e Stati Uniti.

Evoluzione sinottica

La tempesta di ghiaccio fu causata da una particolare situazione sinottica in atmosfera. Sulla Penisola del Labrador si andò strutturando un forte anticiclone, anticiclone che convogliò aria fredda verso ovest, in direzione della costa atlantica canadese. Contemporaneamente erano presenti sulla zona dei Grandi Laghi diversi nuclei di bassa pressione, che pompavano aria calda e umida dal Golfo del Messico in direzione della valle del San Lorenzo. Contemporaneamente l’anticiclone presente sulle Bermuda non permetteva alle basse pressioni di spostarsi verso est. Questa valle, disposta come un corridoio tra due aree montuose (Appalachi a Sud e Montagne di Terranova-Laurentides a Nord), costituisce un passaggio obbligato per le masse d’aria. Il suo orientamento da sud-ovest a nord-est fa si che i venti provengano da una direzione piuttosto che dall’altra. Tra il 4 e il 10 l’intrusione di aria calda percorse la valle da sud-ovest, non interferendo però con il freddo presente al suolo che rimase ben presente, causando il fenomeno della pioggia ghiacciata.

Panorama Of Frozen Saint Lawrence River In Quebec City During A Winter  Afternoon Saint Lawrence Is One Of The Main Rivers Of Canada - Fotografie  stock e altre immagini di Acqua - iStock
Immagine del Fiume San Lorenzo ghiacciato attraverso la città di Quebec City.

Questo fenomeno non è raro in Nord America e nella città di Montreal si hanno mediamente più di dieci giorni all’anno con pioggia ghiacciata. Generalmente questo fenomeno dura però poche ore e ben presto si trasforma o in pioggia oppure in neve. L’eccezionalità del 1998 risultò nella durata eccezionale dell’episodio: in alcune aree la pioggia ghiacciata cadde per ben ottanta ore di seguito.

Zone colpite

La zona più colpita fu una striscia di territorio a cavallo del confine tra Canada e Stati Uniti, tra l’Ontario orientale. Il Québec meridionale e le porzioni settentrionali degli stati americani di New York, Vermont e Maine. Gli accumuli superarono frequentemente i 40 mm mentre in alcune aree ne caddero fino a 100 mm ( ovvero 10 cm). Le zone più colpite furono quelle tra il Fiume San Lorenzo a Nord e i primi rilievi degli Appalachi a sud, tra Ontario, Quebec e Upstate New York. Tra le città più colpite Brockville, Cornwall e i suburbi a sud di Montreal, nonchè la regione della Monteregie, zona rurale a sud di Montreal.

Looking back on the 1998 ice storm 20 years later | CBC News
Alberi spezzati dal peso del ghiaccio e truppe in cammino, scene comuni in quei giorni

Impatti

Gli accumuli eccezionali di ghiaccio causarono i più grossi danni che la rete elettrica canadese ricordi: 1000 piloni dell’alta tensione in acciaio collassarono sotto il peso del ghiaccio, così come oltre 35 000 impianti minori in legno. Nel momento più critico oltre quattro milioni di persone in Canada si trovavano senza elettricità e alcuni ritornarono con la corrente solo quattro settimane dopo. Le foreste vennero devastate dal ghiaccio, lasciando un paesaggio spettrale di alberi morti dai tronchi e dai rami spezzati. La produzione di sciroppo d’acero venne gravemente colpita. Nel Parco di Mont Royal, l’80% degli alberi ebbe dei danni di qualche sorta. Durante il picco dell’emergenza, oltre 15.000 truppe canadesi vennero inviate sul campo, la maggiore mobilitazione dai tempi della Guerra di Corea ( 1950-1953).

Quebec's devastating 1998 ice storm was this week, 21 years ago - Montreal  | Globalnews.ca
Pilone dell’elettricità abbattuto

#greenlifeblog #tempestadighiaccio #gelicidio #tempestadighiacciodel1998 #canada #statiuniti #regionelaurenziana #quebec #montreal

il Disastro della Val di Stava

Il Disastro della Val di Stava fu una catastrofe naturale che avvenne il 19 luglio 1985 in Trentino. Essa fu causata dalla rottura delle casse di decantazione delle miniere Prestavel in Val di Stava, valle laterale della Val di Fiemme. La rottura delle casse provocò un’onda di piena di circa 180.000 metri cubi di fango, che travolse violentemente il centro abitato di Stava (frazione del comune di Tesero), provocando la morte di ben 268 persone.

La catastrofe in Val di Stava
Il tratto terminale della Valle, prima dell’imbocco dell’Avisio dopo la catastrofe

La miniera di Prestavel era situata sulle pendici meridionali del Monte Santa. A partire dal 1934 fu usata intensivamente per l’estrazione della fluorite. Dal 1945 al 1978 fu di proprietà della Montecatini, tra il 1978 e il 1980 della Montedison e dal 1980 al 1985 della società mineraria Prealpi. Nel 1961 venne costruito il primo bacino di decantazione, al quale ne venne successivamente affiancato un altro. L’altezza del muro di contenimento crebbe negli anni e raggiunse i 50 metri.

Il disastro avvenne alle ore 12:22 del 19 luglio 1985, quando il muro del bacino superiore si ruppe, trascinando con sé anche il muro del bacino inferiore. Ai 180.000 metri cubi rilasciati dai bacini si aggiunsero altri 40-50 000 metri cubi provenienti dai processi erosivi e dalla distruzione degli edifici. La frana si rovesciò a valle con una velocità di oltre 90 km/h interessando la Val di Stava fino alla confluenza con il torrente Avisio.  I danni materiali furono la distruzione di 3 alberghi, 53 abitazioni, 8 capannoni e 8 ponti. La rapidità della colata lasciò poco spazio alle vittime, pochissimi infatti furono i feriti. Molti tra i morti erano turisti e infatti le salme vennero trasportate in oltre 60 diversi comuni.

30 anni fa il disastro di Stava. Mattarella: "Fu strage che doveva e poteva  essere evitata" - Rai News
Immagine della valle devastata. la colata percorse 4,2 chilometri

#greenlifeblog #valdistava #valdifiemme #trentino #disastrovaldistava #1985

Le sabbie bituminose dell’Alberta

Le sabbie bituminose dell’Alberta (in inglese oil sands oppure tar sands) sono enormi depositi di bitume ( o altre forme di petrolio molto pesante) situate nella parte centro-settentrionale della provincia canadese dell’Alberta, situata nell’ovest del paese. Queste sabbie sono anche chiamate sabbie bituminose dell’Athabasca, poiché si trovano lungo la valle di questo fiume, che nasce dalle Montagne Rocciose e sfocia nel Lago Athabasca, collegato poi tramite un sistema di laghi al fiume McKenzie.

Boreal forest along the Athabasca River. | Photo: David Dodg… | Flickr
Il fiume Athabasca si fa strada nella foresta boreale dell’Alberta Settentrionale

Le sabbie bituminose

Le sabbie bituminose sono situate sotto una superficie di circa 140.000 chilometri quadrati, per lo più in una zona interessata dalla foresta boreale e da depositi di torba. Le sabbie bituminose permettono, dopo vari processi, l’estrazione del petrolio. Si stima che le sabbie bituminose dell’Athabasca contengano una quantità enorme di petrolio, per un totale di 1700 miliardi di barili, equivalenti alle intere riserve mondiali di petrolio convenzionale ad oggi conosciute. Lo sfruttamento completo di queste riserve sarebbe sufficiente a garantire l’attuale consumo mondiale per oltre cinquant’anni. Queste riserve pongono il Canada al terzo posto a livello mondiale, dietro l’Arabia Saudita e il Venezuela (sabbie bituminose dell’Orinoco). Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia sarebbero sfruttabili con le tecnologie attuali circa il 10% di queste riserve, pari a oltre 170 miliardi di barili (la produzione annuale mondiale è di circa 29 miliardi di barili).

Petrolio, perché il bitume delle tar sands non porta niente di buono al  Canada - Coscienzeinrete.net
La tecnica di estrazione a cielo aperto, enormemente distruttiva per l’ambiente. A destra l’habitat originario boreale.

La conoscenza delle sabbie bituminose risale ad oltre cento anni fa. Già nei primi anni del Novecento infatti molte persone si rifornivano dalle sabbie bituminose come fonte energetica locale. Lo sfruttamento intensivo delle sabbie bituminose cominciò però a partire dagli anni Settanta, quando la società Syncrude aprì la propria miniera nel 1978, miniera che sarebbe diventata la più grande (come superficie) a livello mondiale. Lo sviluppo delle sabbie bituminose negli anni Settanta fu dovuto in primo luogo alle due crisi petrolifere del 1973 e del 1979. Queste crisi, infatti, causarono un forte aumento del prezzo del petrolio, dovuto per lo più alla formazione dell’Opec. Per dipendere meno dalle importazioni arabe gli Stati Uniti cercarono di promuovere il settore petrolifero interno, così come fece il Canada (per lo più per esportare verso gli Usa, principali consumatori). Il prezzo elevato inoltre sostenne le operazioni per estrarre il petrolio dal bitume, operazioni assai più costose che per le fonti tradizionali.

Dopo un picco del prezzo del petrolio nel 1980 però i prezzi crollarono, rimanendo molto bassi fino al 2000. Questo portò allo stop di molte attività in Alberta. Dopo il 2000 il nuovo aumento repentino del prezzo del petrolio rese di nuovo economicamente fattibili le operazioni, che anzi ebbero un vero e proprio boom. Nel 2006 la produzione aveva ormai raggiunto 1,1 milioni di barili al giorno, nel 2010 si raggiunsero gli 1,6 milioni e nel 2020 i 2,6 milioni. A fronte dell’attuale basso prezzo del petrolio le prospettive di sviluppano restano incerte.

Why Canadian Tar Sands Oil May Be Doomed | DeSmog
Impianto per il trattamento delle sabbie bituminose poco a nord di FortMcmurray

Operazioni attuali

Nonostante la superficie potenzialmente utile superi i 100.000 chilometri quadrati, ad oggi la gran parte delle operazioni è situata poco a Nord della cittadina di FortMcmurray, che ha ormai raggiunto i 75.000 abitanti (2018). Tale zona di operazioni è situata in un’area remota lungo il fiume Athabasca e la stessa FortMcMurray è il centro abitato maggiore per centinaia di chilometri, situato a 435 chilometri di strada da Edmonton. La città è un classico esempio di “boom-town”, la cui costruzione si deve esclusivamente alla presenza del petrolio. Il motivo per cui le operazioni sono situate qui è il fatto che nella zona le sabbie bituminose si trovino a pochi metri al di sotto del terreno, mentre altrove esse sono situate anche a 40 metri di profondità.

Le tecniche di sfruttamento sono essenzialmente due: surface-mining ( sfruttamento a cielo aperto) e in-situ. La prima forma consiste nello scavare il terreno ed estrarre le sabbie a cielo aperto, come se si fosse in una cava. Il secondo consiste nell’immettere acqua pressurizzata e componenti chimici nel terreno, componenti che liquefano le sabbie, che poi vengono pompate dal terreno come petrolio convenzionale. Ad oggi sono nove le società che operano nell’area. Tra le principali possiamo citare le canadesi Syncrude ( HQ: Fort McMurray), società storica e fino ai primi anni 2000 quasi l’unico player nella zona, Canadian Natural Resources ( HD: Calgary, Alberta), Suncor Energy ( HQ: Calgary, Alberta), Imperial Oil ( HQ: Calgary, Alberta) partecipata al 60% da Exxon Mobil. Tra le straniere il peso predominante è portato dalle due multinazionali europee Royal Dutch Shell e Total. Queste due società hanno ampliato enormemente la loro presenza dopo il 2010 e ad oggi Shell è il principale produttore dell’Athabasca.

Houses for Sale in Fort McMurray, Alberta - Newly Built Homes
Veduta area della cittadina di FortMcmurray, dal tipico stile nord-americano. La popolazione ha raggiunto un valore massimo di 75.000 abitanti, tutti legati in maniera diretta o indiretta all’industria petrolifera. Nel 2016 un grosso incendio devastò parte della città, provocando 9 miliardi di dollari di danni, una delle catastrofi più costose della storia canadese.

Gli impatti ambientali

Gli impatti ambientali prodotti dall’estrazione delle sabbie dell’Alberta sono enormi. La superficie complessiva occupata dalle operazioni a cielo aperto copre ormai tra i 900 e i 1000 chilometri quadrati, una superficie paragonabile a quella di una piccola provincia italiana (Il comune di Milano ha una superficie di 180 chilometri quadrati). Le operazioni sono visibili chiaramente dallo spazio e rappresentano una delle più grandi impronte dell’umanità sul pianeta. Gli enormi bacini di decantazione delle miniere, dove sono mischiate le sabbie con l’acqua del fiume e i prodotti chimici, sono vaste come città e occupano decine di chilometri quadrati. In totale i bacini di decantazione sono talmente grandi da occupare un volume pari a 500.000 piscine olimpioniche.

Le emissioni legate alla produzione non-convenzionale delle sabbie sono molto più elevate rispetto al petrolio convenzionale e secondo il governo dell’Alberta contribuiscono per un quarto alle emissioni complessive dello stato, che per altro possiede molti progetti petroliferi tradizionali. Lo sviluppo di questo tipo di petrolio ha rappresentato di gran lunga il maggior aumento al contributo di C02 in Canada dal 2005 al 2015. Gran parte della produzione petrolifera canadese è esportata, in particolare quella ricavata dalle tar sands, che finisce quasi per intero alle raffinerie statunitensi. L’oleodotto Keystone, costruito in fasi tra il 2008 e il 2017, trasporta il petrolio dell’Alberta alle raffinerie dell’Illinois ( Patoka e Wood River) e del Texas ( Houston e Port Arthur).

Oil Storage Terminals | Oil Sands Magazine
Il terminal petrolifero di Hardisty, nell’Alberta. Da qui parte l’oleodotto Keystone

Il progetto Keystone XL


Il progetto Keystone XL prevede di portare il petrolio dell’Alberta alle raffinerie statunitensi del Golfo del Messico, passando per un percorso più breve. L’oleodotto avrà anche un diametro maggiore e potrà trasportare fino a un milione di barili al giorno. Secondo il progetto dovrebbe partire da Hardisty e terminare a Steele City, Nebraska. Da qui il petrolio continuerà lungo il vecchio tragitto Keystone fino in Texas. Dovrebbe attraversare Montana, South Dakota e Nebraska. A Baker esso raccoglierà anche parte del petrolio prodotto nel bacino di Williston ( North Dakota). Il progetto, bloccato da Obama nel 2015, è stato ripreso da Trump nel 2017. Particolarmente sensibile l’attraversamento delle Sand Hills del Nebraska.

Aerial View Of Nebraska Sand Hills - Fotografie stock e altre immagini di  Ambientazione esterna - iStock
Le Sand Hills del Nebraska. In questa regione dovrebbe transitare il nuovo oleodotto Keystone XL. Le paure maggiori sono legate a perdite petrolifere. La regione si trova infatti sopra l’Acquifero di Ogallala ( Ogallala Acquifer), la più grande riserva freatica di tutto il Nord America.

#greenlifeblog #sabbiebituminose #tarsands #oilsands #canada #alberta #statiuniti #petrolio #petroliononconvenzionale

Energia eolica in Italia

L’energia eolica è la fonte di energia rinnovabile (escluso l’idroelettrico) più importante a livello mondiale. Nel 2018 l’eolico ha infatti soddisfatto circa il 4,8% della domanda elettrica mondiale. Nel 2019 il principale produttore a livello mondiale era la Cina, con una potenza installata di 236.000 MW (il 36 % del totale mondiale). Il secondo produttore erano gli Stati Uniti, con circa 105.000 MW, seguiti da Germania (61.000 MW), India (36.000 MW), Spagna (25.000 MW), Regno Unito (23.000 MW), Francia (16.000 MW), Brasile ( 15.000 MW), Canada (13.000 MW) e Italia ( circa 10.000 MW). Il nostro paese è quindi il decimo produttore a livello mondiale, con una quota che è però pari ad appena l’1,6% della potenza installata globale.

L’Italia, per quanto riguarda l’energia eolica, si trova dietro a tutti gli altri principali paesi europei, con un valore pari ad appena 1/6 di quello tedesco. Per quanto riguarda invece la quota di elettricità prodotta grazie al vento, l’Italia, con circa il 7-8%, si trova in una posizione simile a quella degli Stati Uniti, ben dietro rispetto al Regno Unito (22%) e alla Germania (26%). I tre paesi più virtuosi in questo senso sono Portogallo (27%), Irlanda (33%) e Danimarca (48%, leader mondiale).

Uno scempio sull'altipiano | l'Astrolabio
Immagine aerea dell’impianto eolico di Buddusò-Alà dei Sardi. Situato sull’Altopiano di Buddusò, una delle aree più remote d’Italia, è il più grande impianto eolico italiano.

L’evoluzione

Così come in molti altri paesi, la produzione eolica e rinnovabile in genere era quasi inesistente prima del 2000.  Nel 2000 la cosiddetta “potenza installata” nell’eolico era pari ad appena 363 MW. Nel 2004, per la prima volta, la potenza installata supera i 1000 MW. A fine 2006 la potenza installata sale a 1908 MW. A partire dal 2007 e fino al 2012 la produzione eolica italiana subisce un vero e proprio boom: dai 2714 MW del 2007 si passa agli 8144 MW del 2012. Durante quest’anno una cifra record di 1200 MW viene installata. Nel 2008 poco meno di 1200 MW furono installati. Dopo il 2012 la corsa all’eolico si è prosciugata e nel 2020 la potenza installata è arrivata a 10.800 MW, con una tendenza di crescita molto debole. Questa crescita molto debole, dovuta alla scadenza degli incentivi, è il primo fattore di debolezza del sistema eolico italiano.

File:Alà dei Sardi - Buddusò, parco eolico (01).JPG - Wikipedia
il parco eolico sull’Altopiano di Buddusò visto da lontano

Distribuzione geografica

Un secondo elemento di debolezza è dato dalla distribuzione geografica fortemente concentrate degli impianti. Praticamente tutta la potenza installata si trova al Meridione. La Puglia è la regione più importante con 2575 MW installati, seguita dalla Sicilia con 1906 MW e dalla Campania con 1742. Altre regioni importanti sono la Sardegna, la Basilicata e la Calabria. Al Centro-Nord le uniche regioni con una certa presenza eolica sono la Toscana, l’Abruzzo e la Liguria. In Friuli-Venezia-Giulia, Trentino-Alto-Adige e Lombardia l’eolico è pressoché assente.

Nelle isole maggiori gli impianti sono sparsi un po in tutto l’entroterra mentre per il resto della penisola si nota un importantissimo “cluster” di impianti nelle zone montuose dell’Irpinia e della Daunia, tra Campania e Puglia. In questa zona viene prodotta la gran parte dell’energia eolica delle rispettive regioni. In totale, tra impianti piccoli e grandi, l’Italia vanta un numero complessivo di 5645 impianti, la maggior parte di piccolissime dimensioni. Gli impianti superiori a 1 MW sono 145.

Il boom dell'eolico tra Cairo e Quiliano: record in regione - Il Secolo XIX
Impianto eolico di Pian dei Corsi, nell’entroterra savonese. La Liguria di Ponente è l’area del Nord Italia con maggiori presenze di aerogeneratori. In Provincia di Savona sono ben 15 gli impianti eolici

L’energia solare in Italia

Nel 2019 l’Italia si classificava come il sesto produttore mondiale di energia solare. La potenza installata era pari a 20.800 MW. Il principale produttore mondiale è la Cina, con ben 204.700 MW installati (32,6 % del totale mondiale), seguita da Stati Uniti (75.900 MW), Giappone (63.000 MW), Germania (49.200 MW) e India (42.800 MW). Dietro l’Italia troviamo in ordine l’Australia, il Regno Unito, la Corea del Sud e la Francia. Nel 2019 la Cina ha installato più fotovoltaico di tutti gli altri paesi, seguita da Stati Uniti, India e Giappone. L’Italia copre con il solare circa l’8% dell’intero consumo di energia elettrica, il che la pone tra i primissimi posti al mondo, insieme con paesi come Germania, India, Australia, Giappone e Grecia. L’Italia dispone di una capacità installata pro-capite pari a 315 W (watt). La massima capacità pro-capite è raggiunta in Australia (630 W) e in Germania (593 W).

ENERGIA SOLARE. - ppt scaricare
Mappa della radiazione solare totale annua in Italia. Si noti come l’Italia Meridionale goda di una situazione molto più favorevole all’installazione del fotovoltaico, in particolare la Sicilia.

Evoluzione e aree di produzione

L’energia solare ha conosciuto una forte espansione negli ultimi dieci anni. Nel 2010 la potenza installata era pari ad appena 3470 MW (metà rispetto all’eolico). Nei tre anni successivi si è assistito ad un vero e proprio “boom” del solare, che si è portato nel 2013 18.000 MW. In quell’anno la produzione solare italiana era la seconda al mondo, dietro a quella degli Usa e la quota percentuale sulla produzione (7%) era la più alta del mondo.

Dopo il 2013, a causa della cessazione degli incentivi, il settore ha conosciuto (così come l’eolico) un rialzo molto modesto, tantoché nel 2019 la potenza installata assommava a 20.900 MW. Tra il 2013 e il 2019 si è installata meno potenza solare che nel solo 2010. Il fotovoltaico, rispetto all’eolico, gode di una diffusione più capillare ed è presente in tutto il paese. La regione con la maggiore produzione fotovoltaica è la Puglia (2848 MW installati), seguita dalle regioni padane: Lombardia (2457), Emilia-Romagna (2127), Veneto ( 2038), Piemonte ( 1661).

Il parco fotovoltaico più grande d'Italia è in Sardegna
L’impianto fotovoltaico di Ottana ( Nuoro), Sardegna, il più grande d’Italia.

L’inquinamento atmosferico in Italia.

Secondo l’Agenzia Ambientale Europea (EEA) l’inquinamento atmosferico continua ad avere pesanti effetti sulla popolazione, specialmente quella delle aree urbane. I principali inquinanti presenti nell’aria sono tre: 1) Polveri sottili (Pm) 2) biossido di azoto (NO2) 3) ozono troposferico (O3). I primi due sono inquinanti prevalentemente invernali, mentre l’ozono è un inquinante tipicamente estivo.

L’inquinamento si conferma un fardello sanitario ed economico fortissimo. In Italia si stima che ogni anno l’inquinamento provochi 60.000 morti premature. Il danno economico si aggira per il nostro paese tra i 47 e i 142 miliardi di euro all’anno, mentre a livello europeo è compreso tra i 330 e i 940 miliardi. Si tratta di cifre enormi. L’inquinamento dell’aria è di gran lunga la principale minaccia ambientale alla salute umana ed è inoltre percepito come la seconda più grande minaccia ambientale dopo il cambiamento climatico.

Smog, Roma tra le peggiori città italiane per inquinamento
Immagine invernale di Roma. Si nota la cappa di inquinamento che attanaglia la città, peraltro non tra le più inquinate in assoluto. Sulla cattiva qualità dell’aria delle città italiane influisce molto il livello di motorizzazione. L’Italia, con 646 auto ogni mille abitanti, è secondo in Europa solo al Lussemburgo.

Particolarmente insidioso per la salute è il particolato atmosferico (Pm). Il particolato non è altro che l’insieme delle particelle di piccole dimensioni presenti nell’aria. Il particolato può essere di origine naturale (particelle di sabbia, aerosol) oppure di origine antropica (frutto della combustione di sostanze fossili). Un’altra fonte notevole di particolato atmosferico sono gli incendi. Il particolato è spesso diviso tra particolato primario (per lo più di origine organica) e particolato secondario (per lo più di origine inorganica). Il particolato primario è frutto della combustione del legname e di biomasse, mentre il particolato secondario deriva principalmente dal trasporto su gomma e (in misura minore) dal riscaldamento e dai processi industriali. In molte aree rurali (soprattutto di montagna) il particolato primario è la prima fonte di inquinamento atmosferico, mentre nelle città è prevalentemente il particolato secondario. L’ozono è anch’esso un inquinante molto pericoloso.

Inquinamento. Il killer silenzioso che uccide ogni ora 800 persone in tutto  il mondo - Ordine Nazionale dei Biologi
Inquinamento a Los Angeles. La città Californiana è la più inquinata degli Usa. Molto elevati i valori di ozono troposferico, favorito da un clima molto soleggiato.

La normativa europea e nazionale prevede degli obiettivi per la qualità dell’aria: i livelli di polveri sottili non devono superare il limite giornaliero per più di 35 giorni, mentre per l’ozono il limite è di 25 giorni (limite complessivo pari quindi a 60 giorni). Tra i capoluoghi di provincia italiani la situazione peggiore per il 2019 ha riguardato Torino: qui, tra Pm10 e Ozono, i valori limite sono stati superati per ben 147 giorni. Le altre città più inquinate sono state Lodi (135 giorni di superamento) e Pavia (130 giorni di superamento). Per il PM le città più inquinate sono state: Torino (Centralina Grassi, 86 giorni), Milano (centralina Marche, 72 giorni), Rovigo ( 69), Frosinone ( 68), Venezia ( 68), Alessandria ( 66), Padova e Pavia ( 65). Per l’ozono le città peggiori sono state: Lodi e Piacenza (80 giorni), Lecco (73), Bergamo (72), Monza e Pavia ( 65).

Smog, è Torino la città con l'aria più avvelenata - La Nuova Ecologia
Nel 2019 e nell’intero periodo 2010-2019 Torino si è confermata la città capoluogo più inquinata d’Italia. Nel decennio appena trascorso le soglie contro l’inquinamento sono state superate ben 1086 giorni.

Tra il 2010 e il 2019 Torino ha sperimentato ben 1086 giorni “fuorilegge”, seguita da Frosinone (1000 giorni). Milano ha sperimentato 896 giorni di sforamento. Come si può ben vedere la realtà geografica che presente maggiori problematiche è la Pianura Padana.

#inquinamento #inquinamentoatmosferico #ambiente #pm10 #pm2.5 #ozono #biossidodiazoto #greenlifeblog

Perché l’inquinamento atmosferico è così elevato in Pianura Padana?

La Pianura Padana è una delle aree con la peggiore qualità dell’aria in Europa. Tra di esse la maggior parte sono situate in Polonia e nell’Est Europeo in genere. Zone fortemente condizionate dall’industria pesante ex-sovietica e dalla rigidità dell’inverno, comportante forti consumi energetici. Un esempio emblematico è quello della Slesia Polacca, dove i livelli di inquinamento sono dovuti prevalentemente all’attività industriale ed energetica, molto legata al carbone. La zona soffre poi di scarsa ventilazione. In Pianura Padana le cause di livelli di inquinamento così elevati sono molteplici.

Abiti nella Pianura Padana? Vivrai un anno in meno | Italia che cambia
immagine satellitare invernale della Pianura Padana e delle aree limitrofe. Si noti come la pianura sia sovrastata da una coltre grigiastra. Coltre composta da umidità e smog.

  1. Condizioni geografiche. La Pianura Padana è una vasta area pianeggiante, definita spesso come un “catino”, circondata su tutti i lati da montagne e rilievi (Alpi e Appennino) e aperta verso est sull’Adriatico Settentrionale. Questa conformazione geografica porta al ristagno delle masse d’aria presenti e a una ventilazione molto scarsa. Il periodo invernale è quello peggiore, quando spesso si verifica il fenomeno dell’inversione termica.. Le piogge sono altresì non frequentissime (80-90 giorni all’anno in media) e non permettono di abbattere l’inquinamento, che tende perciò a persistere per più e più giorni.
  2. Quasi completa mancanza di aree verdi. A differenza delle altre aree pianeggianti del Centro-Nord Europa (es. Bassopiano Francese o Tedesco), la Pianura Padana è quasi priva di boschi e di aree naturali. Le uniche aree naturali di una certa consistenza in Val Padana sono situate lungo i fiumi mentre in Francia, ad esempio, anche in pianura è possibile trovare grandi superfici boscate (basti pensare alle grandi foreste demaniali nei pressi di Parigi).
  3. Forte pressione antropica. Nella zona padana le pressioni di origine antropica sono numerose e forti. In quest’area una consistente pressione abitativa (riscaldamento, trasporti) si somma ad una forte presenza industriale e a un’agricoltura intensiva fortemente inquinante.
Pianura Padana, smog & malattie | Far di Conto
Concentrazioni annuali di Pm10 in Europa. I puntini rossi rappresentano le concentrazioni giornaliere più alte. Da notare, oltre alla Pianura Padana, l’inquinamento assai presente su Europa Orientale ( Polonia e Slovacchia in primis) nonché in Turchia.

Purché i livelli di inquinamento atmosferico non raggiungano i valori paradossali di paesi come Cina e India, spesso sono comunque decisamente preoccupanti. La situazione si mostra però in deciso miglioramento rispetto al passato. In primo luogo le condizioni climatiche sono diventate più favorevoli alla dispersione degli inquinanti e inoltre le emissioni industriali sono diminuite molto ( specialmente quelle di composti solforosi). Punti critici rimangono le emissioni legate all’agricoltura, al traffico e al riscaldamento domestico.

#inquinamento #inquinamentoatmosferico #pianurapadana #ambiente #greenlifeblog

Il Disastro di Seveso

Il Disastro di Seveso è generalmente considerato il peggior disastro ambientale della storia italiana. Un articolo della società americana CBS News, apparso nel 2016, lo includeva addirittura tra i 12 disastri ambientali più grandi della storia.

Lo svolgersi dei fatti

L’incidente avvenne il 10 luglio del 1976 e rappresentò il primo caso su larga scala a livello mondiale in cui migliaia di persone furono esposte a concentrazioni molto elevate di diossina. L’incidente avvenne alle ore 12:28 nello stabilimento della società ICMESA, situato nel comune di Meda , nell’attuale provincia di Monza e Brianza, in Lombardia (allora Provincia di Milano). Esso fu dovuto all’avaria di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo, un componente utilizzato per la produzione di diversi diserbanti. L’avaria avrebbe potuto causare l’esplosione del reattore, esplosione che fu evitata grazie alle valvole di sicurezza. Queste valvole però scaricarono i composti chimici fuori dall’impianto.

Seveso, 40 anni fa il disastro Icmesa: "La pelle bruciava, la diossina ci  ha stravolto la vita" - la Repubblica
I lavori di sostituzione del terreno in seguito all’incidente

Perché gli effetti furono così gravi?

In una condizione normale la fuoriuscita non sarebbe stata troppo tossica, ma in quel caso le alte temperature portarono alla formazione di massicce dosi di diossina. Le diossine sono composti chimici estremamente tossici, nonché cancerogeni. Anche piccolissime dosi possono provocare grossi problemi. In un primo momento la quantità di diossina emessa a Seveso fu valutata pari a 300 grammi, valore che poi venne aggiornato a 15-18 chili.

Il territorio interessato

Dopo essere stata emessa la diossina venne trasportata verso sud-est. Il comune più colpito fu Seveso, situato appena a sud dell’impianto e per questo il disastro è passato alla storia con questo nome (benché come già accennato l’impianto fosse situato nel comune di Meda). Altri comuni molto colpiti furono quelli di Meda, Cesano Maderno, Limbiate e Desio. Tracce di diossina vennero rinvenute anche nei comuni di Barlassina, Bovisio-Masciago, Nova Milanese, Seregno, Varedo e Lentate sul Seveso.

Quella nube che investì Seveso (e che doveva uccidere migliaia di uomini e  fare nascere mostri) – Cristianesimo Cattolico
Affissione nelle campagne di Seveso e Meda. Il consumo di prodotti ortofrutticoli locali e addirittura il contatto con la terra e le erbe furono vietati.

Inizialmente molte persone avvertirono forti bruciori agli occhi, così come la comparsa di infiammazioni e edemi facciali (soprattutto nei bambini). La notizia venne data dai giornali solo una settimana dopo il verificarsi del fatto e le prime misure vennero prese il giorno 26 luglio, quando 676 persone furono costrette ad abbandonare le proprie abitazioni e vennero sfollate in due hotel nei pressi di Milano. Queste persone sarebbero rientrate nelle proprie case tra ottobre e dicembre dell’anno successivo. L’attenzione mediatica per l’evento fu in un primo momento assai scarsa, a causa del fatto che durante l’avvenimento si stavano svolgendo le Olimpiadi di Città del Messico.

La zona interessata venne divisa in tre sezioni rispetto al grado di contaminazione: zona A, sona B e zona R. Nella zona A (la più inquinata) il terreno dovette essere completamente asportato e sostituito con terreno non contaminato. I danni causati dal disastro sono di difficile quantificazione. Non vi furono morti dirette tra la popolazione umana, mentre 3300 tra animali domestici e di allevamento morirono. le autorità abbatterono altri 76.000 animali furono abbattuti successivamente a causa del problema sanitario che avrebbero potuto rappresentare.

Storia del disastro dell' Icmesa a Seveso
Mappa sviluppata in seguito all’incidente. Si notano molto bene le tre aree di pericolo in cui fu diviso il territorio.

Gli effetti sulla salute

Gli effetti sulla salute umana sono di difficile quantificazione. Negli anni successivi gli studiosi portarono avanti quattro studi epidemiologici, che si sono protratti fino al 2001 (in totale 25 anni). In questi studi il risultato più significativo riguarda l’incremento nelle zone più inquinate di neoplasie del tessuto linfatico ed emopoietico, in particolare per le donne. Il dato più alto riguarda i linfomi non-Hodgkin nella zona A (di 4,45 superiore al normale). Tra gli uomini, l’unico dato in eccesso significativo fu la mortalità per leucemie, con un valore pari a 2,2 volte il normale nella zona B. Gli effetti dell’incidente di Seveso però non si limitarono ai tumori: nelle zone A e B sono stati osservati anche incrementi della mortalità per malattie circolatorie nei primi anni dopo l’incidente, di malattie croniche ostruttive dei polmoni e di diabete mellito fra le donne.

#disastrodiseveso #diossina #disastroambientale #seveso #brianza

Pianura Padana, Pianura Padano-Veneta o Val Padana?

Nel Italia Settentrionale ritroviamo una vasta area pianeggiante. Quest’area è chiamata Val Padana, altre volte Pianura Padana e altre volte ancora ( più rare) Pianura Padano-Veneta ( o anche Pianura Padano-Romagnola). Ma queste definizioni sono giuste? E sopratutto, rappresentano la stessa cosa?

Pianura Padana, nemmeno una nuvola. La foto dal satellite | SiViaggia
Immagine satellitare della Pianura Padana. L’immagine è stata scattata nella giornata del 21 giugno 2017. Una visibilità così buona è assai rara per l’area.

Purché queste tre parole vengano generalmente usate come sinonimi, in realtà, se si vuole essere geograficamente precisi, rappresentano territori differenti.

Per Val Padana ( o Bacino Padano) si intende teoricamente tutta l’area del bacino del Po, comprese le vallate alpine ed escluse le montagne. Secondo questa denominazione Aosta quindi si troverebbe in Val Padana, così come Cuneo o le colline del Piemonte, situate non a quote di pianura. Essendo però la Val Padana corrispondente al bacino del Po, non comprenderebbe i territori veneti, friulani, trentini e romagnoli, che vengono drenati da bacini indipendenti (es. Adige, Reno, Piave etc.). Secondo questa stringente denominazione quindi Verona, Venezia, Udine o Bologna non farebbero parte della Val Padana.

La luce tenue della pianura Padana affascina ancora - Ferraraitalia.it -  Quotidiano di Ferrara - l'informazione verticale
Immagine invernale di un tipico paesaggio della Pianura Padana

Per Pianura Padana, nel senso più stretto del termine, si intendono le aree comprese nel bacino del Po e situate a livelli di pianura. Per convenzione geografica la quota della pianura è compresa tra gli 0 e i 200 metri sul livello del mare. Secondo questa definizione quindi le vallate alpine non sono comprese nel territorio della Pianura Padana. Data la quota troppo elevata, neppure città come Torino, Varese o Cuneo sono considerate parte della Pianura. Nel caso di Varese la non appartenenza è quasi ovvia: la città prealpina è infatti situata in un territorio ondulato, ben distante da aree con pochi dislivelli.

Per le due città piemontesi invece la cosa è più complicata.Queste città, infatti, pur trovandosi in un luogo con pochi dislivelli, sono situate a una quota superiore ai 200 metri (Torino a circa 220-230 metri, Cuneo addirittura a 500 metri diquota). Teoricamente, quindi, queste città si troverebbero su un altopiano.

Cuneo - Cuneo Alps Experience
Immagine dall’alto dei tetti di Cuneo. Sullo sfondo le Alpi Marittime innevate. La città, situata in un territorio con pochi dislivelli, si trova a circa 500 metri di quota. Per questo la sua collocazione può essere considerata una città “d’altipiano”.

Per Pianura Padano-Veneta, oppure Pianura Padano-Veneto-Romagnola si intendono invece generalmente tutte le aree pianeggianti contigue comprese tra gli Appennini, le Alpi e il Mare Adriatico. Queste aree, infatti, pur bagnate da fiumi diversi, sono morfologicamente contigue e simili e rappresentano un unicum ambientale. Questa definizione è quella che rappresenta meglio il concetto di “Pianura Padana”. Il territorio di questa pianura comprende porzioni di cinque regioni (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli-Venezia-Giulia).

I capoluoghi di provincia situati nella pianura sono ( in ordine di elevazione, considerata qui come casa comunale): Venezia ( 2 metri sul livello del mare) Ravenna ( 4 metri sul livello del mare), Rimini ( 5), Rovigo ( 7), Ferrara (9), Padova (12), Treviso ( 15), Mantova ( 19), Pordenone ( 24), Forlì ( 34), Modena ( 34), Vicenza (39), Cesena (44), Cremona ( 45), Bologna (54), Parma ( 57), Reggio Emilia ( 58), Verona ( 59), Piacenza (61), Pavia (77), Lodi (87), Alessandria (95), Udine (113), Milano (122), Asti (123), Vercelli (130), Brescia (149), Monza (162), Novara (162). Sono esclusi i capoluoghi situati ad un livello superiore: Como (201), Lecco (214), Torino (239), Bergamo (249), Varese (382), Biella (420), Cuneo (534).

Un tramonto nella campagna veneta!!!!! | Mapio.net
La campagna veneta con un corso d’acqua


#greenlifeblog #pianurapadana #valpadana #pianura #terminigeografici